La neve, il Natale
Come al solito, in una paginetta di diario, i ragazzi mi raccontano come hanno passato il giorno di Natale: tutti hanno giocato a carte, a scopa, sette e mezzo e ti-vitti (ti ho visto: un gioco che non consente la minima distrazione); sono andati alla messa di mezzanotte; hanno mangiato il cappone e sono andati al cinematografo. Qualcuno afferma di avere studiato, dall'alba, dopo la messa, fino a mezzogiorno: ma è menzogna evidente. In complesso, tutti hanno fatto le stesse cose; ma qualcuno le racconta con aria di antica cronaca : «La notte di Natale l'ho passata alle carte, poi andai alla Matrice che era piena di gente e tutta luminaria, e alle ore sei fu la nascita di Gesù».
Tre ragazzi non hanno però parlato della mensa notturna, hanno scritto, senza consapevole amarezza, amarissime cose. «Nel giorno di Natale ho giuocato alle carte e ho vinto quattrocento lire e con questo denaro prima di tutto compravo i quaderni e la penna e con quelli che mi restavano sono andato al cinema e ho pagato il biglietto a mio padre per non spendere i suoi denari e lui lì dentro mi ha comprato sei caramelle e gazosa»: il ragazzo si è sentito felice, ha fatto da amico a suo padre pagandogli il biglietto del cinema, ha poi avuto le sei caramelle e la gazosa: e già aveva comprato i quaderni e la penna - ha fatto buon Natale.
Ma il suo Natale io lo avrei voluto diverso, più spensierato. Ed ecco, ancora più triste, il Natale di un altro ragazzo: «lo il giorno di Natale ho giuocato con i miei cugini e i miei compagni. Avevo vinto duecento lire e quando sono ritornato a casa mio padre me le ha prese e se ne é andato a divertirsi lui». Non ho mai letto niente di più triste nelle cronache, spesso desolate, che i ragazzi mi fanno delle loro giornate.
Vedo la casa, umida e scura in quel quartiere di San Nicola che è il più povero del paese; il ragazzo piangente (e magari avrà avuto un ceffone e qualche cattiva parola) per quelle duecento lire che si era buscate al giuoco e che voleva spendere chi sa come, magari per avere i quaderni e la penna; e il padre che se ne va a farsi il bicchiere, ad ubriacarsi con i poveri quattrinelli del suo bambino. Mai, come attraverso questo piccolo fatto, la miseria mi è apparsa in tutta la sua essenza di cieca e maligna bestialità.
A guardar bene, ci sono nell'episodio tutti gli elementi che fanno la tragedia della nostra vita - o almeno della mia vita qui, in questo povero paese. Ed il giorno della grande festa cristiana, che fa da sfondo e condiziona l'episodio, pare diventi, dietro questo bambino cne piange nella sua casa oscura, a blasfema parodia.
«La mattina del Santo Natale - scrive un altro - mia madre mi ha fatto trovare l'acqua calda per lavarmi tutto». La giornata di festa non gli ha portato nient'altro di così bello. Dopo che si è lavato asciugato e vestito, è uscito con suo padre « per fare la spesa». Poi ha mangiato il riso col brodo e il cappone. «E così ho passato il Santo Natale».
Leonardo Sciascia
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