LA VARA DI MESSINA

by - agosto 12, 2013


Non vi ostinate a volerla tutta analizzare; contentatevi dell'insieme. La Bara va veduta mentre è in movimento; ferma, non è più che una pallida ombra di se stessa. Quando cammina, gli interni congegni son messi in moto, e le ruote girano in sensi diversi senza che se ne possa seguire i particolari. Mentre in basso, nella piattaforma, un coro di angioletti percorre il gran disco senza muoversi, dodici apostoli attorniano Maria morta. Ebbene, se vi affissate sopra queste figure, le sole conservate di personaggi reali su tutto il carro, voi perderete l'effetto del movimento rotatorio del Sole a destra e della Luna a sinistra, l'uno avanti, l'altra dietro, coi loro pattini, e vi passerà inosservata la macchina del trionfo che si leva sopra quattro pilastri, ed è rappresentata da un cielo del più bel colore che possiate immaginare. E se guardate al Sole e alla luna, sciuperete la vista del mondo, e delle nubi che lo circondano, e degli angeli, che in piedi, adagiati, seduti, con le mani in alto e tutti in atteggiamenti celestiali, popolano la scena; ed il cerchio a festoni con altri angeli e su altre nubi, i nuovi angeli ancora e le nuove nubi tempestate di stelle, e sopra tutti l'Eterno Padre, che slancia al cielo l'Alma Maria, o l'anima di Maria, come molti dicono.


Se si chiede ai cinquecentisti, essi diranno per bocca del Buonfiglio che "nella vigilia della festa in honore dell'Assuntione di Maria Vergine, che si celebra a' quindici d'Agosto, si soleva condurre in trionfo una statua a cavallo di Nostra Donna con gran festa": diranno che "tenevasi per simil conto un caval leardo, la cui sella trionfale di velluto cremisino riccamato d'oro a tronconi si conserva per sin'al di d'hoggi nel luogo nomato il Tesoro'; e diranno pure che "un certo Radese inventò il carro nomato la Bara, et d'allhora in poi in cambio della statoa si conduce questa al di solito ogn'anno. Ben vero che in più picciola forma, finché fu aggrandita dal costui genero Mastro Giovannello Cortese, et poi da Mastro Iacopo, hoggi vivente che nulla più,...".
La invenzione del Radese doveva essere molto innanzi al 1535, perché nella descrizione che Colagiacomo d'Alibrandi lasciò del 'Trionpho', il qual fece Messina nella Intrata dell'Imperatore Carlo V° dopo la impresa di Tunisi, si parla di due carri mossi all'incontro dell'Imperatore, il maggiore dei quali sarebbe stato, poco più o poco meno, la bara in parola con la sostituzione delle figure di Carlo e della Vittoria a quelle dell'Eterno Padre e della Vergine in cima al carro.
Quando nel 1371, vincitore glorioso a Lepanto, Don Giovanni d'Austria fece il suo solenne ingresso a Messina, ed il fiore della Nobiltà messinese, coi primi signori d'Italia e di Spagna, in numerosa e magnifica cavalcata, gli andò incontro, lo spettacolo della Bara fu straordinariamente ripetuto. Era il 2 Novembre e quindi fuori tempo: ma la occasione non poteva essere più acconcia, e quando la macchina, che precedeva il corteo, giunse nella piazza della Cattedrale, D. Giovanni sceso da cavallo, "con molto suo diletto la contemplò". 
Questo vuol dire che nel secolo XVI la famosa opera, che oggi forma il meglio del festino d'Agosto e per trecent'anni fu il vanto dei Messinesi e l'ammirazione dei forestieri, era bella e compita. Se non che essa, guardata qual è, dovette subire molte modificazioni in tempi posteriori. 
Basta leggere le descrizioni che ne lasciarono dal seicento in qua scrittori locali e viaggiatori italiani e stranieri, basta vedere la tavola del Samperi, per averne una prova.


Questa immagine rappresenta la Bara quale fu veduta e disegnata dall'artista francese Houel prima del 1784. Chi voglia paragonarlo col disegno della Bara in questo secolo e particolarmente ai dì le cui aste sono degli uomini che sembrano ecclesiastici, con lunghi camici, e finendo alla figura dell'Eterno Padre, che, qual è oggidì, viene rappresentato in un uomo con barba e croce in mano, invece che in un simulacro simbolico, vestito del medesimo camice dei portatori. 
Il congegno interno che dà moto alle ruote, diversamente giranti, dev'essere uno, l'antico; ma i piani esterni, le figure ed i costumi hanno avuto radicali riforme, l'esame delle quali il lettore potrà fare per proprio conto.
Tra le differenze più curiose una ve n'è ricordata dai vecchi messinesi e descritta da eruditi paesani e da viaggiatori stranieri: la sostituzione delle figure inanimate d'oggi ai personaggi viventi d'una volta. Dicono gli uomini d'una certa età e scrivono i viaggiatori che gli apostoli, gli arcangeli, i cherubini erano un tempo fanciulli vivi e parlanti, che le famiglie, anche più ragguardevoli, facevano per divozione attaccare alla macchina. E dico "attaccare", giacché tutti dal primo all'ultimo, dal più alto più basso, nel costume loro competente, venivano raccomandati a ganci, anelli e spranghe di ferro in guisa da potere, senza pericolo alcuno, servire all'ornamento di essa. 
E dovea esser cosa tutt'altro che gradita la vista di otto bambini, a venti, trenta piedi di altezza, girare alle estremità dei quattro principali raggi del sole e della una, col girare di essi, salendo e scendendo in modo da rimaner sempre diritti come quelli della ruota della fortuna: e più in alto ancora, altri dodici, raffiguranti dei cherubini che godono del trionfo della Vergine; ed intorno, un cerchio di altri serafini. Quei bambini, quei fanciulli soffrivano orribilmente; ed il popolo devoto vociava di gioia!
Anche le figure più alte, in cima alla Bara, erano reali: un uomo (Padr'Eterno) che col braccio destro disteso reggeva sulla palma una giovinetta (l'Alma Maria) da' 13 ai 14 anni, la quale con le mani unite volgeva gli occhi al cielo in atto di esservi slanciata. 
Nei primi del sec. XVII l'Alma Maria era rappresentata da un angioletto pronto ad essere slanciato o a slanciarsi nello spazio. Benché solidamente affermata, questa giovinetta dovea avere una gran forza d'animo a resistere al naturale sgomento di vedersi a quell'altezza e in bruschi e scomposti oscillamenti della macchina: sgomento che è da presumere invincibile quando si pensi al vuoto nel quale rimaneva ed allo stordimento che veniva e viene durante la trazione. 
Ma essa ne avea abbastanza non solo per istar lì ritta, ma anche per sostenere un dialogo con G. Cristo. Racconta, infatti, il Samperi che innanzi ad ogni chiesa che incontrasse per via, la Bara si fermava, e tra l'Etemo Padre e Maria si ripeteva il dialogo seguente:

Et. Padre: 
Virgini di li Virgini ab eternu 
Eletta e poi creata Matri Santa, 
A pussidiri lu regnu supernu 
di lu miu Patri cu gloria tanta, 
Veni filici pianta, poichi hai misu 
Paci fra l'homu e Diu, chi l'havi offisu. 
Veni, triunfanti Imperatrici, 'a dari 
Riposi all'infiniti toi tormenti, 
Chi suppurtasti per iu riscattari 
L'homo dall'infernali focu ardenti. 
Veni, climenti Matri, alma Regina, 
Prega per la divota tua Missina. 
Maria: 
Milli gratii ti rendu, Etemu Patri, 
Chi di l'ancilla tua ricurdasti. 
Et a tia duci Figliu, chi a la Matri 
La tua Cità fidili accumandasti, 
Pirchi ordinasti ch'io li sia Avucata, 
Pri l'amor miu ti sia ricumandata.

Finito questo dialogo, che lo stesso Samperi ci ha con esattezza conservato e che io ho riportato tale e quale il popolo entusiasticamente sventolava i fazzoletti e gridava: Viva Maria! ed al grido di arranca, la grande piramide procedeva acclamata sempre.
Noi la rivedremo questa ardita e fortunata giovinetta di tre, di due, di uno, di mezzo secolo fa; e la rivedremo a spettacolo finito; ma intanto la Bara arranca e tutti i Messinesi, come conquisi dal "nuovo miracolo e gentile", accalcati nella lunga, immensa Marina, penderanno dalla superba mole, già preparata in un vicoletto di quella.



Per chi non sia messinese, la processione della Bara è un pericolo continuo; e dovea esserlo ancora più quando questa era popolata di personaggi viventi. Da un istante all'altro quelle figure pare vogliano staccarsi dalla mole tentennante e rovesciarsi sui più vicini.
Eppure ogni buon devoto messinese sa che nessun danno avvenne mai in siffatta occasione, e cita con compiacenza la caduta di personaggi dall'alto del congegno senza lesione di nessuno.
E di che si vuol egli temere se Maria protegge la città e se la città festeggia la sua Protettrice? Non v'è forza umana, non maligna potenza soprannaturale che valga a recare il minimo nocumento chi divotamente partecipa alle onoranze di Colei che difende la patria. 
Un giorno che un giudeo avea concepito il malvagio disegno di far rovinare la macchina, la punizione di Dio piombò terribile; e quasi con orgoglio nazionale il popolo ripete che:

Vulia la santa festa moffeggiari, 
Vulia la santa vara sdirruccari,
Un angelu di Diu, senza tardari 
Li brazza ci tagghiau cu gran riguri. 
Così chiddu giudeu s'avvirtiu 
Sutta la liggi santissima di Diu.

Tutto questo movimento contemporaneo, multiforme, diverso, riempie di sorpresa, ma confonde: né vi è dato di coglierlo tutto e di posarvici ad agio. D'altro lato poi intiepidisce, si scolora e perde più che metà del suo effetto appena la piramide si fermi, e si arresti il giro verticale, longitudinale, da destra a sinistra e da sinistra a destra della folla di figure degradanti dal basso all'alto fino alla suprema concezione della Vergine Assunta in Cielo.
Ma v'è qualche cosa di più che la Bara col suo stupendo e maraviglioso meccanismo (il popolo lo ritiene opera non umana), al quale ‑ se vera è la fama, ‑ avrebbe anche preso parte il sommo Maurolico: la folla che la trascina ed il modo ond'essa la trascina.



La Bara non ha ruote; ma striscia sul nudo basolato, che botti d'acqua vengono poco innanzi il suo passaggio bagnando. 
Due lunghe funi, specie di gomene, sono legate al suo palco; e centinaia di uomini ed anche di donne, che ne hanno fatto voto, vi si attaccano disordinatamente tirando con quanta forza hanno in corpo non sì tosto ne sia dato il segnale. La mole dai 50 piedi di altezza striscia liberamente: ciò che ha formata la credenza che essa cammini da sé, senza aiuto di nessuno, e che trecento paia di buoi non sarebbero bastevoli a rimuoverla non che a trascinarla; poiché la Madonna non lo permetterebbe.



Chi non è nuovo a siffatte scene crederà esagerate le mie affermazioni; ma io dico di non aver sentito grida (son le grida di Viva Maria!) più acute di quelle che il popolo messinese manda al muoversi della Bara, grida che il popolo stesso ha antonomasticamente battezzate col titolo di 'u gridu 'a Vara, che si attenuano ma non cessano di fermarsi di essa, e si riacutizzano ad ogni nuovo avviso della ripresa del cammino.
Dalla Marina, dove sopra un mare di teste torreggia maestosa la Vergine, fino alla Piazza della Cattedrale, ove per la via 20 Settembre, viene finalmente a ridursi, è un grido ininterrotto di gioia e di ammirazione, che solo cede ad un mormorio sordo ed insistente col fermarsi della macchina innanzi la preziosa porta del tempio normanno. 
Quivi la Bara si spoglia: gli angioli e gli apostoli della piattaforma che hanno girato e girato forse contro la loro volontà e certo senza i loro piedi, vengono schiodati e restituiti nei loro bizzarri costumi, ai parenti: gli altri angeli di legno calati per terra, la Madonna viene introdotta in chiesa e posata sull'altare maggiore, dove una volta, quando essa era un personaggio reale, impartiva la benedizione al popolo. 
Le palme verdi, i fiori che hanno adornato i due ceri de' facchini sono sfrondati e sparsi in mezzo alla folla, beata di raccoglierne una foglia, un petalo da conservare per divozione.
Il 16 Agosto il ceppo della Bara, nudo e senza ornamenti, ma pur sempre sacro a chi potrà posarvi sopra le mani, verrà restituito con sempre vivo fervore religioso al suo posto.
La Maria viva, nei giorni seguenti alla festa, per quasi un mese, vestita di bianco e con l'aureola in capo, proprio come era stata sulla Bara, accompagnata dai congiunti, faceva il giro delle case più cospicue della città; dove, accolta con singolar devozione e compiacimento, recitava versi in dialetto ed impartiva con l'indice ed il medio una triplice benedizione.


Giuseppe Pitrè  - "Feste patronali nella Sicilia Orientale"

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