la stagiuni di l'amuri,
mentri spogghiunu la vigna
'nto me cori nasci 'n ciuri.
Stu ciuriddu nicu nicu,
manu manu s'ingrannisci
ma stu cori non capisci
sudd'è amuri oppuri no.
E comu haiu a fà , e comu haiu a fÃ
ca notti e ghiornu nun pozzu chiù stà ,
la testa gira, mi vota e furria
comu girava na vota a mammà .
C'è 'mpicciottu ca mi vadda
'ntrignu 'ntrignu e poi m'arriri,
mentri jncu li panara
mi lu duna 'mpizzuluni.
Iu m'arrassu e iddu 'ncugna
tremu tutta e canciu fila
na stu cori tanti pugna
mi mattedda ma pirchì.?
E comu haiu a fà , e comu haiu a fÃ
ca notti e ghiornu nun pozzu chiù stà ,
la testa gira, mi vota e furria
comu girava na vota a mammà .
Su ci pensu bona bona,
ora fingiu di cascari
mentri a ciurma canta e sona
iu lu fazzu avvicinari.
E ci dugnu na vasata
ca lu fazzu scimuniri
pirchì sugnu 'nnamurata
e non sacciu chiu chi fari.
E comu haiu a fà , e comu haiu a fÃ
ca notti e ghiornu nun pozzu chiù stà ,
la testa gira, mi vota e furria
comu girava na vota a mammà .
Traduzione
Traduzione
E' arrivata la vendemmia,
la stagione dell'amore
mentre spogliano la vigna
nel mio cuore nasce un fiore.
Questo fiore piccolo, piccolo,
mano mano s'ingrandisce
ma questo cuore non capisce
se è amore oppure no.
E come devo fare, e come devo fare
che notte e giorno non posso più stare,
la testa mi gira e rigira
come girava una volta a mia mamma.
C'è un giovane che mi guarda
fisso negli occhi e poi mi sorride,
mentre riempio i cesti
mi dà un pizzicotto.
Io mi sposto e lui s'avvicina
tremo tutta e cambio fila
il mio cuore batte forte
mi martella, ma perchè.?
E come devo fare, e come devo fare
che notte e giorno non posso più stare,
la testa mi gira e rigira
come girava una volta a mia mamma.
Se ci penso bene, bene,
ora fingo di cadere
mentre la ciurma canta e suona
io lo faccio avvicinare.
E gli dò un tale bacio
che lo faccio diventare scemo
perchè sono innamorata
e non sò più cosa fare.
E come devo fare, e come devo fare
che notte e giorno non posso più stare,
la testa mi gira e rigira
come girava una volta a mia mamma.
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme,
è ancora ricco.
Un popolo,
diventa povero e servo,
quando gli rubano la lingua
avuta in dote dai padri:
è perduto per sempre.
*****
Un populu
Un populu
mittitilu a catina
spugghiatilu
attuppatici a vucca,
è ancora libiru.
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.
Un populu,
diventa poviru e servu,
quannu ci arrobbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
Ignazio Buttitta
" ...Stia a sentirmi, Chevalley, se si fosse trattato di un segno di onore, di un semplice titolo da scrivere sulla carta da visita e basta, sarei stato lieto di accettare; trovo che in questo momento decisivo per il futuro dello stato italiano è dovere di ognuno dare la propria adesione, evitare l'impressione di screzi dinanzi a quegli stati esteri che ci guardano con un timore o con una speranza che si riveleranno ingiustificati ma che per ora esistono".
"Ma allora, principe, perchè non accettare?"
"Abbia pazienza Chevalley, adesso mi spiegherò; noi siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare il capello in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva agli esattori bizantini, agli emiri berberi, ai vicerè spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto 'adesione' non 'partecipazione'. In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi. In Sicilia non importa far male o far bene; il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran parte colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso".
Adesso Chevalley era turbato. "Ma ad ogni modo questo adesso è finito; adesso la Sicilia non è più terra di conquista ma libera parte di un libero stato".
"L'intenzione è buona, Chevalley, ma tardiva; del resto le ho già detto che in massima parte è colpa nostra; Lei mi parlava poco fa di una giovane Sicilia che si affaccia alle meraviglie del mondo moderno; per conto mio mi sembra piuttosto una centenaria trascinata in carrozzella alla Esposizione Universale di Londra, che non comprende nulla, che s'impipa di tutto, delle acciaierie di Sheffield come delle filande di Manchester, e che agogna soltanto di ritrovare il proprio dormiveglia fra i suoi cuscini sbavati e il suo orinale sotto il letto."
"Ma allora, principe, perchè non accettare?"
"Abbia pazienza Chevalley, adesso mi spiegherò; noi siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare il capello in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva agli esattori bizantini, agli emiri berberi, ai vicerè spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto 'adesione' non 'partecipazione'. In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi. In Sicilia non importa far male o far bene; il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran parte colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso".
Adesso Chevalley era turbato. "Ma ad ogni modo questo adesso è finito; adesso la Sicilia non è più terra di conquista ma libera parte di un libero stato".
"L'intenzione è buona, Chevalley, ma tardiva; del resto le ho già detto che in massima parte è colpa nostra; Lei mi parlava poco fa di una giovane Sicilia che si affaccia alle meraviglie del mondo moderno; per conto mio mi sembra piuttosto una centenaria trascinata in carrozzella alla Esposizione Universale di Londra, che non comprende nulla, che s'impipa di tutto, delle acciaierie di Sheffield come delle filande di Manchester, e che agogna soltanto di ritrovare il proprio dormiveglia fra i suoi cuscini sbavati e il suo orinale sotto il letto."
Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
... perché il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico.
Giovanni Verga